Il tumore della vescica è una malattia piuttosto comune che prende origine dall’epitelio della mucosa (strato più interno della parete) e può essere:

1. superficiale o non muscolo invasivo nell’80% dei casi (Ta, T1, Cis)
2. infiltrante (invade la parete muscolare T2 e/o sierosa T3-4).

La tendenza al sanguinamento urinario caratterizza ogni sua forma.
Il tipo più frequente di tumore vescicale è il carcinoma uroteliale (in inglese UCC: Urotelial cell carcinoma), chiamato così perché sorge dall’epitelio dell’organo, detto Urotelio.

La vescica è l’organo deputato a raccogliere le urine prodotte dai reni. La parete della vescica è costituita da 4 strati: mucosa, sottomucosa, muscolare e sierosa.

È ormai accertato che alcuni fattori di rischio predispongono al tumore della vescica. Il fumo di sigaretta è il fattore più importante. I cancerogeni contenuti nel fumo penetrano nel sangue e vengono eliminati con le urine. Prima di essere espulsi però, agiscono per ore sulle pareti vescicali. Il fumo triplica il rischio di sviluppare un tumore vescicale.

Lavoratori delle industrie chimiche, tipografiche, coloranti della gomma, del petrolio e dei pellami possono essere esposti alle Amine aromatiche che si ritiene siano promotori di carcinogenesi vescicale.

La pregressa radioterapia sulla pelvi, per esempio per curare i tumori prostatici o endometriali o ovarici, può dare predisposizione a sviluppare carcinomi della vescica.

Infine, esiste una predisposizione genetica.

L’ematuria (sangue nelle urine) è il sintomo tipico del tumore vescicale. Anche solo un episodio sporadico deve sempre essere approfondito. Molto spesso l’ematuria da papillomi non si accompagna ad altri sintomi, pertanto viene definita “a ciel sereno”.
Se invece il papilloma cresce sul pavimento della vescica può indurre frequenza urinaria, urgenza minzionale, nicturia. Tumori uroteliali sorti sul collo vescicale possono causare anche un quadro ostruttivo, mentre l’infiltrazione degli sbocchi ureterali può causare dolore al fianco/ colica renale.

In caso di ematuria (sangue nelle urine), il primo esame non invasivo che può essere eseguito è l’ecografia dell’apparato urinario. In caso di tumore sarà visibile una significativa irregolarità del contorno con una o più lesioni aggettanti nel lume dell’organo. Tuttavia, l’ecografia non sempre riesce a visualizzare deformazioni piatte inferiori a 5mm, pertanto deve essere sempre integrata con altri accertamenti.

La citologia urinaria è un’indagine semplice che ricerca cellule tumorali nelle urine del paziente. Devono essere raccolte le prime urine della mattina perché sono le più ricche di cellule esfoliate dall’epitelio durante la notte. Nel comune studio citologico delle urine su 3 campioni, le urine del mattino dei primi 2 giorni devono essere conservate in frigorifero.

La cistoscopia è l’esame fondamentale per diagnosticare il tumore della vescica. Consiste nell’introdurre una fibra ottica rivestita da un contenitore flessibile attraverso l’uretra del paziente fino ad arrivare in vescica. Permette di esplorare accuratamente la mucosa vescicale e identificare ogni papilloma o altra lesione sospetta. L’accuratezza diagnostica della cistoscopia supera quella di ecografia e TAC riguardo la caratterizzazione di lesioni della parete vescicale.

Molti pazienti sono spaventati dalla cistoscopia perché sopravvalutano la sua invasività. È doveroso sottolineare che, per prima cosa, la cistoscopia nelle donne è una procedura del tutto priva di dolore, a causa della brevità della loro uretra. Nel maschio l’ostacolo prostatico può creare fastidio ma soltanto nel momento dell’ingresso dello strumento. Inoltre i nuovi cistoscopi, incluso quello flessibile, riducono ulteriormente il fastidio della cistoscopia, rendendolo analogo a quello di un cateterismo.

Resezione endoscopica di lesione vescicale o Trans Uretral Resection of Bladder Tumor (TURBT). Si tratta del momento conclusivo della diagnosi e, allo stesso tempo, della terapia delle lesioni superficiali. L’intervento si esegue in genere in anestesia spinale o generale, il paziente è posto sul lettino a gambe divaricate. Nel corso dell’intervento la vescica viene distesa con una soluzione irrigante. La lesione viene resecata con un’ansa diatermica, la sua base di impianto viene resecata a sua volta e inviata separatamente così che il patologo potrà confermare la diagnosi istologica (una lesione che appare come un papilloma può essere in realtà un tumore di aggressività molto eterogenea), e riportare l’aggressività e la profondità della lesione. La durata dell’intervento è variabile in base alle dimensioni e al numero delle neoformazioni. Al termine dell’intervento viene applicato un catetere vescicale al quale viene collegato un sistema di irrigazione continua per mantenere pervio il catetere impedendo la formazione di coaguli in caso di sanguinamento. Il decorso postoperatorio è caratterizzato da un a ripresa precoce delle normali funzioni e dalla sospensione del lavaggio in 24H con rimozione del catetere dopo 48h. A volte si rende necessario lasciare il catetere più a lungo per rimuovere i coaguli in caso di sanguinamento o per applicare in alcuni casi una chemioterapia endovescicale a scopo profilattico.

Sono utili nelle malattie risultate avanzate all’endoscopia, per definire il grado di invasione parietale, l’infiltrazione degli organi viciniori e l’eventuale presenza di metastasi a linfonodi e altri visceri linfonodali. Inoltre permettono di visualizzare le vie escretrici superiori (pelvi renale e calici) per la possibile presenza di neoformazioni papillari.

Se la lesione è superficiale, la terapia si è conclusa con la resezione endoscopica. Si può valutare l’utilità di una terapia intravescicale con chemioterapici o immunoterapici (il celebre BCG: Bacillo di Calmette-Guerin).

Nelle malattie infiltranti la muscolare non più controllabili con interventi endoscopici, è necessaria una terapia più radicale. Il gold standard terapeutico comprende la cistectomia radicale, ovvero l’asportazione di vescica, prostata e vescicole seminali nell’uomo e di vescica, utero tube e ovaie nella donna. Nello stesso intervento si provvede alla derivazione urinaria. L’anestesia viene eseguita in anestesia generale e richiede un’attenta valutazione anestesiologica, cardiologica e internistica soprattutto per i pazienti che presentano compromissione della salute generale.

Questo tipo di interventi non si esegue in laparoscopia perche i tempi sarebbero troppo lunghi e i rischi troppo elevati.

Rimossa la vescica è necessario vicariare la sua funzione, ovvero convogliare fuori dall’organismo le urine prodotte dai reni. Esistono molteplici possibilità di derivazione urinaria, le più utilizzate sono le seguenti.

connettere gli ureteri alla cute, e accumulare le urine in sacchetti adesi all’addome del paziente. È necessario una volta al mese sostituire i cateterini ureterali che mantengono pervi e funzionanti gli ureteri.

continua ad essere ancora oggi una delle tecniche più utilizzate grazie al suo basso tasso di complicanze e all’alto grado di soddisfazione del paziente. La tecnica prevede la connessione degli ureteri a un segmento intestinale (di ileo) che viene isolato dal resto dell’intestino e collegato alla cute. Adeso all’addome c’è un sacchetto di accumulo di urine che deve essere gestito analogamente a quanto detto per l’ureterocutaneostomia. Tuttavia non ci sono cateterini ureterali da sostituire ogni mese.

significa isolare un’ansa intestinale dal restante tubo gastroenterico, detubularizzarla e riconfigurarla in modo da creare un neoserbatoio che viene posizionato nella stessa sede della vescica e ricollegato agli ureteri e all’uretra. In tal modo si mantiene la minzione per la via naturale, l’immagine corporea e una certa indipendenza dalla gestione sanitaria. Tuttavia, rispetto alla vescica naturale, la neovescica ha 4 difetti principali:

1. non è innervata, quindi non avverte il paziente quando è piena, e non si contrae spontaneamente
2. produce muco, che deve essere fluidificato con mucolitici
3. riassorbe l’urina, quindi soprattutto i primi tempi è necessario monitorizzare il ph e l’equilibrio idrosalino del paziente
4. se gestita scorrettamente da pazienti non sufficientemente motivati, può scompensarsi e comportare la riduzione della funzione renale.